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60 archeologi a Scicli, la Sergenzia della Contea di Modica

N°965 del 22/09/2011

 Di fronte alla minaccia araba, il governo bizantino avviò un processo di incastellamento che coinvolse probabilmente anche il Colle di San Matteo, facendolo diventare così il punto di riferimento della popolazione fino ad allora dispersa in piccoli insediamenti lungo il torrente di Modica e nelle colline adiacenti.


Sono alcune delle acquisizioni di cu hanno preso nota i sessanta archeologi presenti in città nell'ambito del progetto "Archaeology's places and contemporary uses", patrocinato dall'istituto universitario di Architettura di Venezia, dall'Università di Catania, dal Msa di Manchester, dall'Etsa di Barcellona, e dalle Università di Granada, in Spagna, e di Ouno, in Finlandia, e reso possibile grazie al prof. Pietro Militello, archeologo e docente dell'Università di Catania, sciclitano.


E' probabile che proprio la natura facilmente difendibile del colle sia all'origine dell'abitato di Scicli, alla fine della dominazione bizantina in Sicilia [VIII-IX sec. a.c.).
La prima menzione di Scicli è infatti, nelle fonti arabe relative alla conquista secondo le quali Sikla cade nell'864 a.c. nelle mani degli invasori.
L'abitato si sviluppò originariamente solo attorno al Colle di San Matteo. La componente rupestre, cioè la presenza di abitazioni in grotta secondo un uso derivato probabilmente dall'Africa settentrionale, sembra avere svolto un ruolo molto importante, se non preponderante, almeno fino al XIV secolo, quando l'architettura costruita si afferma per le classi più elevate, mentre la tradizione trogloditica continua presso gli strati più bassi soprattutto in un ampio tratto del pendio meridionale, oggi corrispondente al quartiere di Chiafura.

Contemporaneamente la città si dota di due cinte di mura, la prima più antica e più ristretta, circondava solo la parte superiore della collina e si può datare al XIII/XIV secolo, la seconda, più ampia e più recente, del XV-XVI secolo, includeva anche le pendici, fin quasi a valle. A partire dal XV secolo, infatti, l'abitato si estende anche nella parte pianeggiante, nonostante i pericoli posti dal carattere torrentizio delle acque, particolarmente violento in inverno.
Il terremoto che colpisce nel 1693 tutta la Sicilia orientale, distrugge Scicli. La ricostruzione sancisce allora la perdita di importanza della collina e sposta il baricentro nelle cave e nell'area del torrente. La collina viene abbandonata, la Chiesa Madre, la cui ricostruzione era stata avviata nell'antico sito sul colle, non verrà mai completata. Solo il quartiere di Chiafura continuerà ad essere abitato fino agli anni '50 del XX secolo, quando gli abitanti furono spostati nel moderno quartiere di Jungi. San Matteo, tuttavia, con il suo palinsesto di architetture medievali, chiese barocche e grotte, è assunto a simbolo e centro identitario della collettività.


Descrizione Castelluccio [Castello dei Tre Cantoni)


Il nucleo originario della Scicli medievale occupava lo sperone occidentale del colle di S. Matteo: un'area di forma triangolare con vertice ad Ovest e base individuata ad Est dal Castelluccio e dal suo ideale prolungamento verso Nord fino alla chiesa di S. Lucia. I lati di questo triangolo erano costituiti dalle pendici del colle delimitate dai torrenti di S. Maria la Nova a Nord e S. Bartolomeo a Sud.
Sull'acropoli dominavano la chiesa di S. Matteo e le due fortificazioni: il Castellaccio ed il Castelluccio e se la chiesa Madre è stata ricoperta dalle ricostruzioni settecentesche, le due costruzioni militari ci sono pervenute nella condizione originaria. Il Castellaccio sovrastava la chiesa Madre e sorgeva sul mammellone calcareo che domina la confluenza delle tre valli. La tipologia dell'edificio sembra riprendere quella tipica del donjon normanno [XI-XII secolo): una torre a pianta quadrangolare, di m 1 0,50x1 0,50, conservata a tutt'oggi per m 5,50 in altezza, davanti alla quale doveva trovarsi una ulteriore zona recintata. Il cosiddetto Castelluccio lungo m 70 e largo m 20, aveva il compito di sbarrare l'accesso alla città nel punto più vulnerabile. Oggi il complesso si presenta costituito da un corpo centrale che si prolunga mediante aggiunte sia verso Nord-Est che verso Sud-Ovest.


L'estremità meridionale del Castelluccio, si collegava con un ingresso monumentale del quale rimangono ancora i basamenti; la "Porta di Siracusa" ricordata dalle fonti moderne. Le origini del Castelluccio, sembrano collocarsi verso l'VIII secolo d.C. ma l'edificio subì una serie di rifacimenti e ingrandimenti che ne modificarono la pianta, allargandola progressivamente. Le attestazioni sicure si hanno solo con la metà del XIII secolo, quando gli "Sicli... castra" vengono citati in una lettera di Papa Alessandro del 1252.

Nello stesso periodo l'allargamento verso ovest dello spiazzo provoca la distruzione di un vano di abitazione. Il Castrum magnum e il Castrum parvum sono citati in un atto notarile del 1346 e il castelluzo/castellucium in un documento del 1542. Nell'edificio dovevano risiedere i militari della Sergenzia di Scicli, e si trovavano le carceri come attestato da diversi documenti. L'ultima menzione è del 1621, quando il "mastro" Antonino Cassar di Malta è incaricato di restaurare la torre triangolare. Il terremoto del 1693 segna il definitivo abbandono della costruzione. Dal punto di vista archeologico, E. Canzonieri ha identificato 8 fasi costruttive corrispondenti a quattro momenti fondamentali.


Un primo momento di età bizantina [VIII-IX secolo) con fortificazioni nel solo settore settentrionale, un secondo momento di età normanna [XII secolo] con la occupazione del settore centrale e la costruzione della torre triangolare, un terzo momento attribuibile alla anarchia baronale del '300 con la costruzione degli annessi meridionali [secolo XIV), infine la creazione di un complesso unitario "castello/porta di Siracusa" e i restauri della fine del XVI e l'inizio del XVII secolo.






 
 
 

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