Chiese

 

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Chiesa San Bartolomeo Sec.XVIII
Chiesa San Bartolomeo Sec.XVIII

Chiesa San Bartolomeo Sec. XVIII

 Inserita in uno scenario naturale di rara bellezza, la chiesa di San Bartolomeo è stata definita dall'architetto Portoghesi " una perla dentro le valve di una conchiglia".
Le prime notizie della chiesa risalgono al XV secolo e, in base a quanto riferito dallo storico Carioti pare che non abbia subito gravi danni in seguito al terremoto del 1693. Tuttavia alcune fonti riportano l'anno 1752 come l'anno di inizio delle fasi di ricostruzione.
La facciata a tre ordini documenta il momento di passaggio da un'architettura tardo-barocca ad una neoclassica. Il prospetto, infatti, avviato alle fine del settecento da Antonio Mazza fu rielaborato da Salvatore Alì e concluso nel terzo ordine solo nel 1815 da P. Ventura. Nel 1822 furono realizzati lo spiazzale e il cancello in ferro battuto ad opera di S. Alì.
L'impostazione piramidale vede l'uso di colonne e lesene di stile diverso, dorico nel primo ordine, ionico nel secondo ed infine corinzio nell'ultimo, ospitante la grande cella campanaria, concluso da una cupola costolonata. Sul timpano arcuato del portale è stata collocata una statua della Madonna con Gesù bambino, mentre ai lati trovano posto quattro statue raffiguranti San Pietro, San Paolo del Marabitti, San Bartolomeo e San Guglielmo.
L'interno, a navata unica, mostra una pianta a croce latina. Ai lati del portale di ingresso si trovano due monumenti sepolcrali marmorei, realizzati nel 1631 dallo scultore Francesco Lucchese, in cui sono conservate le spoglie di due illustri cittadini sciclitani don Vincenzo Miccichè e il padre di questi, don Giuseppe Miccichè. Confrate di San Bartolomeo, membro di una ricca famiglia nobile locale, don Giuseppe Miccichè svolse un ruolo importante durante la fase ricostruttiva della chiesa, in particolar modo della ristrutturazione della cappella maggiore. Dopo la sua morte se ne rispettò la volontà testamentaria: si realizzarono i due monumenti funerari e la tela della "Immacolata tra i santi Guglielmo e Bartolomeo", opera del pittore Francesco Cassarino, collocata nel braccio destro del transetto accanto alla cappella della Addolorata. Il gruppo statuario non datato e anonimo presenta le sculture del Cristo di Maria, Maria Maddalena e San Giovanni. Si tratta di sculture in legno rivestite di stoffa con le mani e la testa in cartapesta. Il Crocifisso, raggiunge effetti di crudo realismo ricorrente nella cultura figurativa popolare.
Nello stesso braccio del transetto è conservata la "Santa Cassa", un reliquiario rivestito di argento del 1862, su cui è posto Gesù Bambino nudo popolarmente chiamato "Cicidda d'oro", portato in processione il giorno di Natale.
Di grande interesse è la pala d'altare raffigurante il "Martirio di San Bartolomeo" opera di Francesco Pascucci datata 1779. La tela, realizzata a Roma e poi trasportata in Sicilia nel 1780, mostra il martirio del Santo.
Nel braccio sinistro del transetto è collocato il Presepe settecentesco, che sostituì quello monumentale del '500, di cui non è rimasto alcun esemplare. L'incarico di rinnovare il Presepe fù affidato allo scultore napoletano Pietro Padula, che completò l'opera tra il 1773 e il 1776. Delle originarie 65 statue ne rimangono solo 29, ma non sappiamo se la scenografia con ruderi di architettura classicheggianti e gli affreschi della volta raffiguranti Dio Padre, risalgono all'intervento del Padula. Il paesaggio di grotte e rocce che circonda i personaggi rispecchia l'ambiente naturale della cava di San Bartolomeo ed i pastori che indossano abiti semplici ed usuali testimoniano gli usi e i costumi dell'antica società rurale.
Nella cappella a sinistra di quella del Presepe, si trova la statua rivestita d'argento dell'Immacolata, realizzata nel 1850 dai fratelli Catera già attivi localmente.
Gli stucchi del vano absidale furono curati direttamente da Giovani Gianforma, quelli della volta, delimitano tre dipinti di G. Battista Ragazzi con Allegorie dell'Abbondanza, della Legge e della Fortezza.
Nella sagrestia si trova un'interessante tela raffigurante "La Deposizione", proveniente dalla chiesa conventuale dei padri Cappuccini di Scicli e trasferita nel 1923. L'opera, attribuita a Mattia Preti, presenta due temi: la deposizione del Cristo e lo svenimento di Maria.

 
 
Chiesa San Giovanni Sec.XVIII
Chiesa San Giovanni Sec.XVIII

Chiesa San Giovanni Sec. XVIII

Adiacente al Palazzo Comunale si trova la Chiesa di San Giovanni Evangelista. Essa fu fondata prima del 1300 e già in quegli anni fu istituita alla "Confraternita dei Nobili Bianchi", la quale si prodigò a Scicli compiendo opere di carità e di misericordia in favore della popolazione sino al 1860. Successivamente la chiesa fu ceduta ai monaci di San Benedetto i quali costruirono un monastero che diede impulso alle attività religiose ed economiche della città.
La struttura crollò in seguito al terremoto del 1693, venne ricostruita a più riprese nella seconda metà del '700.
La facciata ha un'impaginazione concavo convessa e presenta tre ordini, doppie semicolonne ne accentuano lo sviluppo verticale evidenziando lo stacco tra il partito centrale, convesso, e i due laterali, concavi.
Nel primo ordine, scandito da colonne ioniche, si apre il portale d'ingresso, preceduto dalla bella scalinata che asseconda il movimento della facciata; due nicchie occupano i partiti laterali. Il secondo ordine, caratterizzato da colonne in stile corinzio, è abbellito dalla preziosa gelosia in ferro battuto. Nel terzo ordine viene ripreso l'ordine composito del secondo, chiuso da due piedistalli alle estremità. La facciata si chiude con un timpano spezzato nel quale è incisa la data di fine lavori (1803).
L'interno, a pianta ovale, ha una fisionomia neoclassica. Ai lati, tra le semicolonne, addossati alle pareti curve, sono collocati quattro altari. La volta, a guscio di noce, presenta una decorazione ricca di stucchi e dorature ben lontani dal clima culturale tardo barocco. Nella parte alta del vestibolo, tre medaglioni raffigurano vedute paesaggistiche di Scicli. Inoltre, presso la sacrestia, è conservata un'opera del XVII secolo, il cosiddetto "Cristo di Burgos", di probabile provenienza spagnola che raffigura un Cristo crocifisso con la sottana sacerdotale, iconografia molto rara in Italia.

 
 
Chiesa San Michele Arcangelo Sec.XVII-XVIII
Chiesa San Michele Arcangelo Sec. XVII - XVIII

Chiesa San Michele Arcangelo Sec. XVII - XVIII

  E' una delle chiese più antiche di Scicli, ricostruita dopo il terremoto del 1693 in uno spazio condizionato da edifici già esistenti.
L'architetto modicano Alessi iniziò i lavori nella seconda metà del 1700 utilizzando tutto lo spazio disponibile per formare una quinta scenografica che permettesse, nel lato destro, di scorgere la chiesa di Santa Teresa; i lavori si conclusero a metà del 1800 sotto la guida dell'architetto Fama di Palermo.
Il prospetto della Chiesa presenta tre ordini che acquistano una conformazione leggermente convessa soprattutto nella parte centrale del portale, fiancheggiato da colonne corinzie culminanti con cornice intramezzata da uno scudo araldico.
Il secondo ordine mostra un finestrone arricchito da ghirlande floreali e chiuso da una gelosia in ferro battuto. Infine il terzo ordine appare con un'impostazione neoclassica per la mancanza di colonne sostituite da piatte lesene terminanti con capitelli corinzi che inquadrano la cella campanaria. Il prospetto della chiesa si chiude in alto con un timpano triangolare.
Di notevole interesse è l'apertura laterale della chiesa su Via F.M. Penna posta di fronte al portone principale di Palazzo Spadaro. Si tratta di un ingresso arrotondato da una liscia strombatura appositamente realizzata per non appesantire il prospetto laterale della chiesa e preceduto da cinque gradini che seguono l'andamento digradante della strada.
L'interno ha un'aula ellittica preceduta da un endonartece biabsidato e conclusa da un abside semicilindrico. La decorazione policroma caratterizzata da innumerevoli stucchi, affreschi, pitture e sculture, la rendono una basilica unica nel suo genere. In particolare si segnalano decorazioni della metà dell'800 che riproduco strumenti musicali ai lati dell'organo, collocato su un balcone interno in ferro battuto sorretto da quattro colonne.
Ai lati della navata su quattro altari minori si collocano delle tele raffiguranti: S. Agostino (XIX sec), S. Michele Arcangelo (XIX sec), l'Adorazione dei Magi (XIX sec) e un crocifisso ligneo (XV sec).
Nell'abside, una tela di forma ovale rappresenta la Madonna delle Grazie (XVIII sec).
A partire dal 1770 si iniziò a costruire il monastero omonimo che si sviluppa a triangolo a ridosso della chiesa. Ospitava suore agostiniane. Attualmente è un centro di recupero per anziani.

 
Chiesa Santa Maria La Nova Sec. XVII - XVIII
Chiesa Santa Maria La Nova Sec. XVII - XVIII

Chiesa Santa Maria La Nova Sec. XVII - XVIII

Sorta con il nome di Santa Maria La Nova della Pietà, la chiesa di Santa Maria La Nova si trova collocata nel cuore della cava omonima.
Cronologicamente ultima architettura ecclesiastica di notevole valore storico-architettonico, la chiesa presenta una facciata a tre ordini divisa in tre comparti da lesene.
Nel primo ordine si apre l'imponente portale incorniciato da lesene terminanti in capitelli ionici, il secondo ordine mostra un finestrone inquadrato da lesene di eguale stile , il terzo ordine, infine, termina nella torre campanaria ornata da ghirlande e da una balaustra in pietra locale.
Le complesse vicende progettuali e costruttive, sviluppatesi nell'arco di tre secoli hanno visto nel 1798 il rifacimento della parte absidale e la trasformazione delle strutture dell'aula centrale e della facciata.
Con il progetto originario dell'ingegnere G. Venanzio Marvuglia i lavori di ricostruzione furono diretti dal Cardona e completati nel 1801 con gli stucchi di Emanuele e Domenico Ruiz. L'abside si sviluppa intorno alla grande tela "Natività di Maria", opera caratterizzata dall'impianto monumentale dei personaggi, la cui attribuzione è controversa.
Considerata, fino a pochi anni fa, opera di Sebastiano Conca, in base ai recenti studi della Prof.ssa Siracusano, la tela dovrebbe essere attribuita a Tommaso Pollace e cronologicamente collocata tra la fine del '700 e gli inizi dell'800.
La seconda fase edilizia riguardante le navate e la facciata risulta più tormentata. I lavori iniziarono nel 1817 ma proseguirono nel corso degli anni con svariati progetti e numerosi direttori di lavori fino al 1851, anno del completamento della volta decorata con gli stucchi del Gianforma uniformati a quelli del Ruiz dell'abside. L'apertura al culto avvenne nel 1857.
Le fortune della chiesa sono fondamentalmente legate alle rendite di Pietro Di Lorenzo Busacca che, facendo testamento nel 1567, nominò erede universale del suo immenso patrimonio la Confraternita della Chiesa denominata allora Santa Maria della Pietà.
Le navate laterali sono costituite da sei cappelle (tre per ogni lato), collegate tra loro e concluse da cupole emisferiche. Nel vestibolo della chiesa è possibile ammirare il frontone ed altre parti di ciò che resta del prospetto della prima chiesa di Santa Maria della Pietà costruita tra il VI e il VII secolo.
Sul lato della navata, nella prima cappella si incontra l'altare di San Francesco di Paola, sotto un prospetto marmoreo di stile dorico contenente la statua di San Francesco che dovrebbe provenire dalla chiesa omonima demolita nel secolo '800.
Nella seconda cappella, su un altare dal prospetto in stile corinzio, si trova una statua della Vergine Maria Immacolata. La statua lignea, ricoperta da lamine d'argento, secondo un anonimo fu scolpita a Napoli nel 1843 dal celebre statuista G. Petronzio e rivestita in argento nel 1844 da Don Silvestro Catera e figli. Le notizie sulle lamine d'argento sono confermate da un'incisione sul mantello di Maria.
Nell'ultima cappella del lato destro si trova la nicchia in stile corinzio in cui è racchiusa la statua lignea policroma del Cristo Risorto, detto popolarmente "Uomo Vivo". Il Cristo, di notevole vivacità espressiva, è posto su una base di nuvole ed indossa un perizoma dorato ed un ampio mantello color amaranto. Dopo le prime ipotesi che facevano risalire l'opera al XIX secolo, recenti ricerche di M. Boscarino consentirebbero di assegnare l'opera allo scultore catanese F. Pastore che l'avrebbe realizzata nel 1796.
Sul lato sinistro si aprono altre tre cappelle. Nella prima si trova un altare in stile dorico in cui si conserva una statua secentesca di San Giuseppe che tiene in braccio il bambino Gesù. Nella seconda cappella in un altare in stile Corinzio è conservato il prezioso e venerato simulacro della Vergine della Pietà. Composto da una scultura lignea seduta, col capo reclinato, una veste a fiori ed un mantello damascato, affiancata da due pie donne in piedi e da un Cristo deposto ed una croce di legno ricoperta da lamine d'argento; il simulacro ha origini alquanto oscure. Due sono le tesi per l'attribuzione: la prima vuole che l'opera sia di età bizantina e che sia stata trovata tra le macerie della chiesa di Santa Maria della Pietà in periodo normanno, la seconda è sostenuta da S. Santiapichi che considera la statua dell'Addolorata come facente parte di una sacra rappresentazione con 14 statue lignee eseguite da A. Monachello di Noto nel 1564.
Nella terza cappella, su un altare in stile dorico, si trova una statua raffigurante la Madonna col Bambino detta delle "Nevi", che reca nella base la data 1496. Quale titolo questa scultura abbia avuto originariamente non ci è dato saperlo con certezza. La Madonna indossa una veste riccamente ornata, i bassorilievi collocati nella base, illustrano la vita di Sant'Anna: l'Incontro di Gioacchino con i pastori, la Nascita di Maria, l'Annuncio a Gioacchino.
Nella volta si trovano cinque tele datate 1858 opera del pittore chiaramontano sac. G. Di Stefano, raffiguranti storie della vita di Cristo: l'Adorazione dei pastori, la Presentazione di Gesù al tempio, Gesù tra i dottori, Cristo e la Pie donne, Cristo deposto.
Di un certo interesse è l'urna reliquiario in argento che presenta altorilievi e bassorilievi di diversi temi. Su uno dei due lati lunghi si trovano due putti che sorreggono un medaglione circolare con l'Addolorata sdraiata ai piedi del Santo Sepolcro sull'altro lato lungo si trova il medaglione con la natività di Maria, sui lati corti sono raffigurati San Guglielmo e San Giuseppe. Sui lati lunghi del coperchio è raffigurata Santa Rosalia ed in un altro il Martirio di S.Adriano, tema presente in una tela della navata destra.
La chiesa Parrocchiale di Santa Maria La Nova nel Marzo 1994 è stata eretta Santuario Mariano Cittadino "Maria Santissima della Pietà".

 
Chiesa del Carmine e Convento Sec. XVII-XVIII
Chiesa del Carmine e Convento Sec. XVII - XVIII

Chiesa del Carmine e Covento Sec. XVII - XVIII

    La fondazione del convento sarebbe avvenuta nel 1368; inizialmente fu annesso alla chiesa di San Giacomo Interciso, titolo successivamente sostituito da Santa Maria Annunziata. A testimonianza di tale sovrapposizione resta il fatto che un altare rimane dedicato alla Madonna Annunziata.
La chiesa, la sua facciata e l'ala orientale del convento, risalenti al secondo Settecento, sono stati progettati dall'architetto Fra Alberto Maria di San Giovanni Battista, carmelitano dalla stretta osservanza e residente nello stesso convento.
La facciata a tre ordini, realizzata in un sobrio e raffinato stile rococò, è divisa in tre comparti da fasce di lesene. L'elegante portale, decorato da motivi fogliacei, del primo ordine è sovrastato da un finestrone posto nel secondo. Il terzo ordine, che si sviluppa solo nella parte centrale, è concluso da una delle sette statue che adornano la facciata.
La pianta della chiesa mostra un'unica navata preceduta da un nartece biabsidato con ampio coro sovrastante e terminante nell'abside semicircolare al centro della quale è posto un altare in marmo. I due lati delle navate sono scanditi da paraste di ordine composito che determinano sei nicchie, ospitanti altari marmorei. In cinque dei sei altari, opera di Tommaso Privitera di Catania, si trovano delle grandi tele, attribuite al pittore netino Costantino Carasi (XVIII secolo), rappresentanti l'Adorazione dei pastori, l'Annunciazione, la Trasfigurazione e due Santi Carmelitani. Altre pitture, tutte del secondo Settecento, si trovano lungo le pareti della navata, mentre sull'ultimo altare del lato sinistro si trova un Crocifisso di legno di cedro del '400.
Sull'altare maggiore, in una nicchia, è collocata la statua della Madonna del Carmine, che regge sul braccio sinistro Gesù bambino, realizzata nel 1760 da Francesco Castro: la statua ha la testa e le mani in legno, la ricca veste è tutta in argento sbalzato con decorazioni floreali.
Gli stucchi bianchi sono opera del Gianforma mentre quelli dell'abside furono realizzati da Salvatore Alì, incaricato, alla fine del XIX secolo, di rifare l'abside, la sagrestia e forse anche il campanile che riprende il disegno di quello della chiesa di San Matteo.
La facciata del convento è articolata su un doppio ordine: nel primo si aprono i vani bottega ed il portico, che introduce al cortile; nel secondo appaiono una serie di finestre ed un balcone centrale arricchito da una ringhiera in ferro battuto. Sotto alcune finestre è scolpita la Croce dei Cavalieri di Malta (i Carmelitani appartenevano infatti alla provincia religiosa di Gerusalemme). Il cortile è stato vittima di rimaneggiamenti, solo il lato meridionale e quello settentrionale hanno conservato l'aspetto originario. Sui due lati si trovano due logge sovrastate da una nicchia che ospita la statua della Madonna.



 
Chiesa Madre di S.Ignazio secolo XVII-XVIII
Chiesa Madre di S.Ignazio secolo XVII-XVIII

Chiesa Madre di S. Ignazio Secolo XVII - XVIII

   È una tra le più antiche chiese ancora aperte al culto in città; è la sede della matrice dal 1874, da quando, cioè, venne chiusa la chiesa di San Matteo; nel 1986, per decreto vescovile, è stata intitolata a San Guglielmo Eremita. Era annessa al convento dei Gesuiti, che nel 1961 fu demolito per far posto all'attuale edificio scolastico.
Fu distrutta assieme al collegio, ancora in costruzione, dal terremoto del 1693, e successivamente fu ricostruita; sembra che i lavori si siano conclusi intorno al 1751, visto che tale data compare sulla facciata della chiesa. I disegni del progetto originario relativo alla costruzione prima del terremoto, sono attualmente conservati presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.
La facciata, conclusa da un timpano mistilineo, presenta due ordini, con una superficie movimentata da lesene a da controlesene, comprendenti quattro statue collocate su piedistalli e decorazioni con testine di putti e motivi fogliacei.
Il secondo ordine è affiancato ai lati da due campanili cuspidati e concluso da un timpano con cornice concavo-convesso; al centro è collocato uno degli orologi civici della città.
La chiesa, al suo interno, è a pianta basilicale a tre navate: la navata centrale è separata da quelle laterali da grossi pilastri a cui si appoggiavano delle semicolonne.
Le navate laterali sono suddivise in tre cappelle, di cui due di esse sono dedicate ai santi patroni della città. Una è in onore alla Madonna delle Milizie, il cui simulacro di cartapesta raffigura la Madonna guerriera con il mantello azzurro e la spada sulla mano destra, seduta sopra un cavallo bianco impennato sulle zampe posteriori, sotto il quale si trovano due saraceni schiacciati.
Non si conosce la provenienza del simulacro, ma si hanno notizie della tela raffigurante la Madonna durante la battaglia tra i normanni e i saraceni avvenuta, secondo la leggenda, nel 1091 sulla costa sciclitana. Realizzata da Francesco Pascucci nel 1780, proveniente dall'Eremo delle Milizie, si trova oggi collocata tra la seconda e la terza cappella.
Provenienti da altre chiese sono i dipinti della Madonna del Carmine coi santi carmelitani di Pietro Azzarelli (1731) e la tela coi santi in sacra conversazione.
La terza cappella è dedicata a San Guglielmo: qui è conservata una grande arca laminata realizzata tra il '600 e il '700, al cui interno sono custodite due reliquiari (probabilmente realizzati da argentieri palermitani) con il busto contenente le ossa del santo. Particolarmente interessante è il pannello dell'urna in cui è rappresentata la città di Scicli. Ai piedi della cappella si trova una lapide in marmo recante la data del 1565 proveniente dalla chiesa di san Matteo.
La navata di sinistra si conclude con la cappella del Santissimo Sacramento. Nella navata destra si trova un dipinto di Antonio Manoli (1721), raffigurante una veduta di Scicli seicentesca con San Guglielmo.


Di particolare importanza è l'altare maggiore in marmo intarsiato proveniente dalla chiesa di Santa Maria la Piazza che sostituì il precedente altare ligneo.
Di pregevole valore inoltre sono il pulpito cinquecentesco in legno di noce scolpito, collocato nella navata centrale e l'antico organo dai fregi barocchi.

  



 
Chiesa S. Maria della Consolazione Sec. XVII - XVIII
Chiesa S. Maria della Consolazione Sec. XVII - XVIII

Chiesa Santa Maria della Consolazione Sec. XVII - XVIII

   È la prima chiesa che si incontra percorrendo la profonda cava di S.M la Nova; giace su un ampio basamento pavimentato con antiche basole, elevato rispetto al piano stradale. Si tratta di una chiesa nella quale è possibile riconoscere più fasi edilizie: nel XV secolo è attestata la presenza di un tempio dedicato a S. Tommaso Apostolo, nella seconda metà del '600 fu riedificata per essere, infine, ricostruita dopo il terremoto del 1693.
E' caratterizza da una facciata piana a due ordini: nel primo lesene tuscaniche la dividono in tre parti. Al centro spicca un sobrio portone sormontato da un cartiglio; lateralmente si ripete, in modo simmetrico, lo schema porta-nicchia-finestra.
Il secondo ordine comprende quattro lesene composite che inquadrano la finestra balconata dalla quale penetra la luce che illumina l'intera navata centrale. Chiude superiormente la facciata un timpano triangolare. Sul prospetto si legge ancora il titolo di Patrona Civitatis concesso dal re Filippo IV di Spagna nel 1645.
L'interno della basilica è a tre navate separate da pesanti e bassi pilastri. Ai lati si sviluppano tre cappelle con volta a botte e l'abside semicircolare coperto da cupola ribassata. Singolare è il pavimento interno della chiesa, a motivi geometrici e floreali, interamente realizzato con pietra calcarea bianca e pietra pece nera, tipiche degli Iblei. Il fondo dell' altare maggiore è occupato da una tela, di cui non si conosce l'artista, raffigurante Cristo con le anime del Purgatorio, della seconda metà del XVII secolo; le cappelle laterali ospitano due eccezionali statue lignee che richiamano la Flagellazione di Cristo e Cristo con le mani legate.
Caso unico a Scicli è il campanile isolato che termina con una cuspide arricchita da cangianti maioliche.
Esternamente sul lato destro della chiesa si conserva un eccezionale portale d'accesso da attribuire ad un tempio cristiano che qui esisteva prima del sisma del 1693; è in stile gotico con bassorilievi che richiamano scene della vita e del martirio di S. Tommaso Apostolo. 



 
  




 
Chiesa S. Teresa Sec. XVII - XVIII
Chiesa S. Teresa Sec. XVII - XVIII

Chiesa Santa Teresa Sec. XVII - XVIII

   La chiesa era annessa, sotto il titolo di S. Chiara, all'ex monastero di S. Teresa, fondato nel 1660 dai Carmelitani Scalzi, in cui, nel 1673, venne istituita la clausura. Raso al suolo dal terremoto del 1693, il monastero venne ricostruito tra il 1715 e il 1719 dal capomastro Giuseppe Puccia.
Molto interessante è la chiesa nella facciata rettangolare, racchiusa da due paraste di ordine tuscanico e conclusa da un loggiato a tre arcate, al quale si affianca la piccola cella campanaria. Il portale d'ingresso è sovrastato da una finestra quadrangolare quadribolata finemente lavorata, con una balaustra sottostante e borchie floreali ai quattro angoli, presentando i caratteri tipici del rosone.
Lo spazio interno tardo barocco è a navata unica,preceduta da un profondo nartece e conclusa da un'abside rettangolare. Quattro cappelle si dispongono sulle pareti laterali, inframezzate da colonne poggianti su alti piedistalli.
Sull'altare centrale è collocata un'opera, che ha per soggetto S. Teresa, dipinta dal canonico Don Filippo Fangelli nel 1698; sull'altare del lato destro si colloca una tela con la Madonna in trono tra i Santi, datata 1761; mentre sull'altare del lato sinistro è situato un crocifisso decorato da cornici lignee a motivi floreali. Nel 1854 il pittore chiaramontano Don Gaetano Di Stefano eseguì le pitture a fresco della volta della navata e le tre tele relative alla vita di S. Teresa. La tela della volta dell'abside, raffigurante la Natività, dovrebbe essere opera del pittore romano Lorenzo Rota.
Il pavimento, eseguito nel 1757 in pietra ragusana bianca e nera, è uno dei più interessanti per le forme geometriche.
"....La cura con cui fu trattato ogni minimo particolare rende questo spazio stretto e lungo densamente spirituale, soprattutto per la complessa ornamentazione della parete di fondo, vero e proprio paradiso artificiale, al centro del quale domina un'aquila con intorno putti e angeli, nuvole, fiori, frutta, foglie, conchiglie, allegorie e santi, uno spazio che permette una fruizione voluttuosa e seducente dei misteri della fede, in questo contesto satura di luce bianca." (P. Nifosì)
La chiesa rimase aperta al culto fino al 1950, solamente attorno al 1960 il Vescovo di Noto la cedette al Comune, il quale, dopo aver apportato degli interventi di restauro, ha reso questo spazio disponibile ad accogliere iniziative culturali e sociali. Attualmente il Monastero è stato trasformato in abitazioni private. 



 


 
  





 
Chiesa S. Vito Sec. XVI
Chiesa S. Vito Sec. XVI

Chiesa San Vito Sec. XVI

   La chiesa di San Vito si trova nel quartiere Pendinello sul colle di San Matteo in un pianoro fiancheggiante la strada regia che conduceva verso la città antica e la chiesa di San Matteo. Secondo le fonti risalenti a Mario Pluchinotta il complesso ecclesiastico fu fondato nel 1508 da Giovanni Burgaletta.
La moderata facciata è delimitata da due paraste di ordine tuscanico completata da un aggettante cornicione mistilineo, sopra il portale si trova una semplice finestra di forma circolare, mentre per quanto riguarda il portone d'ingresso oggi appare notevolmente deteriorato dalla decorazione architettonica che lo arricchiva; lo stemma e il mascherone incluso nella pietra di volta risultano quasi illeggibili. Questo prospetto presenta tutta l'attraente bellezza delle caratteristiche dell'architettura sciclitana del XVI secolo.
All'interno esisteva uno sfarzoso altare dedicato a San Carlo, che veniva visitato per la sua ricchezza e per le sue sculture.
La chiesa non fu distrutta dal terribile terremoto dell'11 Gennaio del 1693 che colpì tutto il Val di Noto ma fu chiusa al culto nel corso del XIX secolo; infine negli anni '30 del 1900 fu adibita a canile comunale mentre verso la metà del XX secolo si registra il crollo del tetto. 

 

 


 
  






 
Chiesa delle Milizie ed Eremo Sec.XVII-XVIII
Chiesa delle Milizie ed Eremo Sec.XVII-XVIII

Chiesa delle Milizie ed Eremo Sec. XVII - XVIII

   
  L'eremo e la chiesa delle Milizie sono uno dei luoghi più legati ad una tradizione religiosa di un evento sacro, vivo per molti secoli nella cultura di Scicli.
Il complesso è posto nella contrada Giammarito, a due chilometri da Donnalucata, su un lieve pendio collinare in un luogo panoramico.
La tradizione e vari testi dei secoli XVII e XVIII ricordano in quel luogo un'ipotetica battaglia avvenuta nel 1091 tra Normanni e Saraceni, vinta dai primi per il provvidenziale intervento della Vergine apparsa, secondo alcuni, in cielo su una nube, secondo altri su un cavallo bianco.
Sul momento di formazione del culto relativo alla Madonna delle Milizie, non esistono, attualmente, documenti attendibili. In quel luogo il Carioti ricorda prima del 1091 un edificio sacro pagano dedicato a Bacco Milicio, da cui deriverebbe il termine "Milizie".
Allo stato attuale non abbiamo elementi per confermare la tesi del Carioti, di certo sappiamo che il luogo è stato abitato da eremiti nel XVII secolo. Vi fu sepolto Mariano Perello, uno degli intellettuali più qualificati nella Scicli del Seicento; vi abitò il frate francescano Giorgio Lutri, additato come un santo e solo nei secoli successivi si è avuta una particolare devozione per la Madonna delle Milizie.
Attualmente il complesso architettonico registra varie fasi costruttive che vanno dal tardo medioevo al Novecento. Risulta determinante la fase settecentesca in cui si ricostruirono la chiesa ed alcune parti del convento.
La chiesa è costituita da un vano rettangolare con abside quadrata coperta da una cupola emisferica e con un androne rettangolare. Delle precedenti strutture rimasero il campanile, situato nell'angolo sinistro del nartece, di datazione incerta e la cappella absidale. Nella ricostruzione al posto degli undici altari della chiesa del Seicento, se ne realizzarono otto.
Nella cappella posta frontalmente al portale d'ingresso fu situata la scultura in pietra della Madonna dei Miracoli.
Gli stucchi interni furono eseguiti dal mastro Simeone Messina di Scordia tra il 1721 e il 1722, soffermando particolare attenzione all'altare absidale incorniciato da due angeli. Sicuramente sull'altare fu collocata, nel 1780, l'interessante tela del pittore romano Francesco Pascucci, trasportata intorno al 1920 nella chisa Madre. L'altare maggiore fu rivestito nel 1798 con marmi policromi realizzati dallo scultore don Giovanni Marino di Catania.
Le parti dell'eremo che si snodano partendo dal lato corto della chiesa sono riferibili al Settecento, secolo in cui, su suggerimento del sergente maggiore Domenico Serraton, iniziarono i lavori per la realizzazione di alcune camere per gli eremiti e i forestieri.
Durante il Settecento e l'Ottocento fu frequentato come luogo di pellegrinaggio ed annualmente una processione portava i fedeli della città all'eremo; tale processione cessò intorno al 1860.
Con la legge di soppressione dei beni ecclesiastici gli eremiti vennero cacciati e l'eremo cadde in un abbandono completo. Nel 1892 fu acquistato dai Frati Minori e si cominciarono i restauri riportando alcune tele, tra le quali quella del Pascucci.
Nel corso degli anni il complesso ha subito una serie di trasformazioni e nel 1915 fu comprato dall'amministrazione dell'opera pia Pietro Di Lorenzo Busacca per farne un tubercolasario, subito dopo fu rivenduto a lotti a parecchi privati.
Per quanto riguarda invece la chiesa, di proprietà della curia, rimase abbandonata. Solo di recente il parroco di Donnalucata si è preoccupato della sua salvaguardia. 




 


 
  






 
Chiesa e convento della Croce
Chiesa e convento della Croce

Chiesa di Santa Maria della Croce e Convento Sec. XVI

    Sulla cima dell'omonimo colle si sviluppa il complesso della Croce che comprende una chiesa, un oratorio e un monastero.
Il monastero fu fondato dai Frati minori osservanti gli insegnamenti di S.Francesco, agli inizi del XVI sec, grazie al contributo dell'Università di Scicli e dei Conti di Modica, Anna Cabrera e Federico Enriquez.
Risparmiato dal terremoto avvenuto nel 1693, il monastero si articola su due cortili di forma trapezoidale, collocati a ridosso dello strapiombo della cava, di cui restano solamente alcuni ruderi.
L'annessa chiesa venne ultimata nel 1528, come si legge dalla data incisa nel cartiglio a losanga sul lato sinistro del prospetto.
La facciata si articola fra modanature tardo-gotiche, ed è conclusa da un tetto a doppia falda. Sul portale d'ingresso si aprono un arco a tutto sesto e un arco a sesto acuto; tra i due è collocato lo stemma quadrato appartenente ai Conti di Modica. Un altorilievo che raffigura un roditore nell'atto di mordere grappoli d'uva e un Agnello pasquale acefalo decorano parte dell'arco a tutto sesto.
Il sistema degli archi termina in una cornice lineare delimitata ai lati da due colonnine tortili; sotto la colonna destra un leone accovacciato viene morso da un ramarro. Sopra la cornice lineare si trova una finestrella quadrata, ai lati della quale si collocano due stemmi romboidali: quello di sinistra è lo stemma municipale, l'altro è di dubbia attribuzione.
La chiesa si sviluppa seguendo una pianta rettangolare, conclusa da un'abside semicircolare e coperta da una volta a botte.
L'oratorio, dedicato alla Madonna di Sion e annesso alla chiesa nella parte retrostante, risale probabilmente alla seconda metà del quattrocento. Si presenta con un prospetto molto semplice scandito da un portale in stile gotico, racchiuso da due semicolonne concluse da un arco trilobato su cui è scolpita una croce in altorilievo.
Di recente il complesso è stato restaurato.






 


 
  






 
Chiesa rupestre del Rosario
Chiesa rupestre del Rosario

Chiesa rupestre del Rosario

     La chiesa dedicata alla Madonna di Monserrato, oggi detta del Rosario, fu ingrandita ad opera di numerosi devoti sciclitani. Rocco Pirri in "Sicilia sacra" descrive la prima costruzione d'Essa nell'anno 1516, come si legge in Atto del notaro Antonino Militello del 1539 da cui risultano i principali benefattori: Antonino Schifitto, Paolo Ficicchia, Cola Tommaso Maltisi, Antonino di Falco, Antonino Ioccia e Giuseppe Cappitta.
Il luogo per la costruzione fu scelto nella sommità del Monte Campagna, con magnifica visione panoramica del territorio e del mare sciclitano.
Una statua della Vergine Maria venerata in questa chiesa compì numerosi prodigi e guarigioni di malati. Essa fu posta nella Cappella dell'Altare Maggiore nel 1648 ad opera di P. Domenico Rosa di Scicli. I miracoli sono registrati in un libro conservato nel Convento. Nel volume "Madonne Sciclitane"si narra anche di un'ampolla d'olio rinvenuta nel 1600 nella chiesa, e nella quale il liquido non finiva mai. L'olio, spalmato addosso, guariva gli ammalati travagliati da infermità.
L'immagine di questa Statua prodigiosa apparve rassicurante al Gran Maestro dell'Ordine dei Cavalieri di Malta, prima di sconfiggere i Turchi, intorno all'anno 1565, e , grato di ciò, donò alla Chiesa ingente bottino conquistato ai Musulmani (armi, trofei, bandiere etc.) e quaranta mortai in bronzo dei quali fusi, si fabbricò la campana che ancora oggi è attaccata all'artistico campanile della chiesa.
Il Pirri riferisce che nell' "Historia Domenicana" si legge del Convento, il quale iniziò l'attività per mezzo di P. Merlino nell'anno 1556 e che il Vescovo di Siracusa Giovanni Orosco concesse ai PP. Domenicani di prendere possesso del Convento e della Chiesa il 29 aprile 1567.
Il Convento era stato soppresso con Bolla del 1652 di Papa Innocenzo perchè non aveva i mezzi necessari per il mantenimento dei Monaci. Riprese l'attività mediante donazioni di terre fatte da famiglie sciclitane per cui dentro Esso fiorirono Scuole di Teologia e Filosofia dalle quali uscirono Sacerdoti di grande intelletto che si distinsero per carità, santità e perchè furono valenti predicatori del Vangelo e cultori di Lettere. Tra questi i più celebri furono: P. Bacillieri, P. Fr. Marni ( Missionario e predicatore in Spagna e nelle Indie, morto in odore di santità), P. Decio Mirabella di Scicli, P. Decio Abarca, P. Guglielmo Dinaro, P. Domenico Rosa, P. Baldassarre Rosa, P. Antonio Rosa, P. Giacinto Frasca, P. Domenico Furnari.
Il terremoto del 1693 devastò soltanto il cappellone della Chiesa che fu restaurata dal predetto P. Rosa.


ICONOGRAFIA:


Statua di S. Maria di Monte Serrato, con in braccio il Bambin Gesù che taglia un Monte con uno strumento dentato di ferro;
Dipinto di S. Maria del Rosario:
Statua di S. M. del Rosario;
Crocifisso;
Statua di S. Vincenzo Ferreri;
Reliquiario contenente resti di S.Vincenzo Ferreri, eletto protettore della città di Scicli, come risulta in Atto del notaro Guglielmo Errera di Scicli il 30, novembre, 1727.
Attualmente il Convento e la Chiesa sono posseduti da Monache dell'Ordine di S. M. la Mercè, le quali si dedicano all'educazione dell'infanzia . 






 


 
  






 
Chiesa di S. Matteo
Chiesa di S. Matteo

Chiesa di S. Matteo

      In cima al Colle S. Matteo, circondato da rovine e ruderi di Scicli antica, sorge il maestoso primo duomo cittadino, dedicato all'Apostolo S. Matteo, patrono dell'antica città e protettore dei naviganti.
Purtroppo, le antiche architetture che avrebbero potuto testimoniare il periodo esatto della sua fondazione furono occultate, coperte e rifatte diverse volte a causa dei terremoti, ma antichi documenti tramandati da scrittori del tempo testimoniano l'esistenza della chiesa già a partire dall'anno 313 d.c. con la diffusione del libero culto del Cristianesimo. La chiesa, infatti, poggia le sue fondamenta su numerosi sotterranei e catacombe, utilizzate fino al 1884 per accogliere le spoglie dei cittadini Sciclitano di fede Cristiana.
Il terremoto del 1693 fece crollare l'intero edificio che venne ricostruito per volontà e partecipazione del popolo sullo stesso luogo contravvenendo alla volontà del vescovo. Tale decisione era carica di forte significato religioso in quanto in questa chiesa si veneravano le reliquie del Beato Guglielmo, eremita morto a Scicli nel 1404 e ivi sepolto.
Si narra che il corpo del Santo, racchiuso in un'urna di marmo, fu immerso in una tinozza piena d'acqua e che gocce di quell'acqua benedetta furono bevuta da migliaia di malati di peste che guarirono, e dagli ancora non contagiati che ebbero l'immunità.
Oggi, ciò che rimane delle spoglie del Santo, viene custodito all'interno di una cassa d'argento conservata nella chiesa di S. Ignazio.
Il prospetto, probabilmente mai completato, si sviluppa su due ordini: quello inferiore presenta tre portali d'ingresso con una superficie scandita da coppie di lesene e colonne; l'ordine superiore si sviluppa solo nella parte centrale concluso lateralmente da due volute con pennacchi e motivi naturalistici, che fungono da elementi di raccordo tra i due piani. Il finestrone centrale è incorniciato da colonne e lesene. Sulla cornice marcapiano, al di sopra del portale centrale, un cartiglio reca la data 1762 che potrebbe riferirsi al completamento dell'edificio.
La fiancata rivolta verso la città, che si sviluppa in larghezza come una seconda facciata, coincide con la fiancata della navata minore destra; essa si conclude con una loggia campanaria tripartita, che sostituì il campanile precedente, alto e slanciato, collocato a ridosso dell'abside e crollato durante il terremoto.
Lo stretto e lungo piazzale che si affaccia sulla vallata, è costruito in parte sul tetto del grande edificio che anticamente costituiva l'abitazione dell'Arciprete parroco, e che durante la pestilenza del 1837 fu utilizzato come cimitero. A nord del piazzale si trova l'orologio civico di San Matteo che, prima del terremoto, era collocato sul campanile della chiesa e che probabilmente questo sia solo un rifacimento di quello originario.
L'interno è a pianta basilicale a tre navate concluse da tre absidi quadrangolari; la navata centrale è separata da quelle laterali da pilastri cruciformi, su cui si addossano lesene con capitelli di ordine composito in calcare di ottima fattura artigianale. Sopra l'architrave si aprono cinque grandi finestre per lato che, insieme a quella anteriore, davano luce alla navata centrale.
Poco resta della bellezza decorativa interna: una raggiera con putti al centro dell'abside sopra l'altare centrale e accenni di una ricca decorazione nei due altari delle cappelle absidali laterali. Inoltre, grazie ai lavori di restauro, è stato portato alla luce un antico pavimento in pietra bianca e nera di Ragusa a forme poligonali e ovoidali.








 


 
  






 
Chiesa rupestre di Santo Spirito
Chiesa rupestre di Santo Spirito

Chiesa rupestre di Santo Spirito

         La chiesa rupestre dello Spirito Santo, ubicata nella parte alta del Colle di San Matteo, vicina all'agorà dell'antica città di Scicli sul versante della Cava di Santa Maria la Nova, presso il Castello dei Tre Cantoni, in un'area in cui vi sono numerosi ipogei dalla fronte generalmente crollata, in alcuni dei quali è possibile riconoscere ancora l'originaria destinazione funeraria in epoca tardoantica.
La prima menzione di questa chiesa si deve al Carioti il quale ricorda che "...per essere antichissima lo fu in una grotta presso a cui si comunicò l'erezione di un tempietto doppo il 1710, di già ne resta terminata", e quindi il Pacetto segnala che: "Sottostante all'attuale rovinata Chiesa dello Spirito Santo vi è una specie di Catacomba incavata nel vivo sasso, ove tuttora si osservano avanzi di antichissime pitture rappresentanti colossali figure, che non possono più distinguersi perché sbiadite dall'umido, ed in parte screpolate da mano villana...". In effetti la cripta è ubicata al di sotto della chiesa settecentesca, con la quale comunicava per mezzo di un passaggio gradinato scavato nella roccia fra l'abside e la parete di fondo della chiesa in muratura, dove si apre a destra dell'altare. Questo passaggio è stato successivamente obliterato da un tampogno in muratura.
La planimetria della chiesa, come spiegano Rizzone e Terranova, si presenta molto semplice, nonostante il rovinoso crollo del costone roccioso in cui è scavata e che ha interessato la parte settentrionale della cripta comporti necessariamente una lettura parziale dell'articolazione originaria. Una parete in muratura, prolungata durante l'ultima fase di frequentazione della grotta, chiude la parte franata. Nell'unica parte non crollata si conserva lo stipite occidentale di un ingresso dal lato Nord, presso il quale è scavata una piccola nicchia.
Presso l'abside si conservano ancora tracce di decorazione pittorica, anche se le tracce più cospicue rimangono nella parete in corrispondenza del subsellium. Qui si distinguono quattro strati di affreschi: lo strato più recente di cui restano frammenti presenta la Madonna con il capo inclinato verso sinistra -verosimilmente volta verso il Figlio di cui, però, non restano tracce- e coperto da un velo grigio; a destra, di minori dimensioni, è un'altra figura nella quale è probabilmente da riconoscersi il Beato Guglielmo canonizzato nel 1538.
Se nulla si può dire sulla cronologia degli affreschi più antichi, la semplicità dell'architettura, la mancanza di partizioni interne, di presbiterio e dell'orientamento canonico, l'ingresso da uno dei lati lunghi, la piccola abside alla quale doveva essere addossato l'altare murale, sono caratteristiche che si riscontrano nelle chiese rupestri dei secoli XIII e XIV. Confronti si possono istituire con le chiese rupestri di contrada Cansisini a Cava Lazzaro in territorio di Rosolini, cosiddette di Sant'Alessandra a Ufra presso Modica, di San Nicola a Cava Ispica ed anche nella chiesa di Santa Maria la Cava a Spaccaforno.
Pertanto, risale verosimilmente ad una data non lontana da quella dello scavo la prima menzione della chiesa, contenuta in una carta notarile del 25 ottobre XIV Ind. 1375: essa costituisce un punto di riferimento per il posizionamento di una grotta con la quale la chiesa confina e della quale il rogatore dell'atto vanta diritti censuali.
Si devono molto verosimilmente al gravissimo terremoto del 1693 il crollo del costone roccioso dove era scavata la chiesa rupestre, e quindi la decisione di ricostruirla in muratura in un luogo più sicuro. La nuova chiesa venne completata nel corso della prima metà del XVIII secolo: la data del 1747 incisa su un concio del prospetto indica il completamento dei lavori della facciata; una conferma giunge anche dal Carioti che nel suo scritto anteriore al 1760 la dice già ultimata. In seguito all'abbandono del sito ed al completo trasferimento del paese a valle dopo il terremoto, la chiesa ebbe vita breve, così come è avvenuto per quella di San Matteo: il Pacetto, come si è detto, ricorda che vi furono celebrate messe fino al 1820 circa e aggiunge che poi "per oscitanza dei Patroni si rovinò la volta di detta Chiesa; anche ne perdura l'intiero fabbricato ridotto a Casaleno, e l'adiacente piano fu dai patroni venduto al villico Pietro Blundetto, il quale avendolo sgombrato dagli avanzi e dalle basi delle antiche fabbriche ne utilizzò il terreno, ove piantò Alberelli e Viti, e che poi vendette al canonico D. Ignazio Lutri" .
La chiesa oggi si presenta gravemente danneggiata, d'essa rimangono quasi interi i muri laterali ed il bellissimo prospetto con Portale dalle sottili colonne, rostrate verso l'alto, scanalate e spigoli smussati,cimate da capitelli Ionici. Sempre nel prospetto, seminascosto da una rigogliosa vegetazione, si osserva la ricchezza dell'architettura mista, con elementi particolari costanti, tipica dello stile Romanico della decadenza (anni 192-475), periodo che viene distinto anche come epoca d'arte Paleocristiana. 









 


 
  






 
Chiesa rupestre di Santa Lucia
Chiesa rupestre di Santa Lucia

Chiesa rupestre di Santa Lucia

          Fondata nel XVII secolo presso l'antica Porta dello Steri, che poi prese il nome di Porta Santa Lucia, fu trasferita, dopo qualche tempo, in un'altra grotta poco distante, dove è tuttora, come si legge da lapide posta dentro la stessa chiesa. Nello stesso anno, davanti alla grotta, fu eretto un artistico prospetto con campanile, più volte, in seguito, restaurati.
La chiesa custodisce un dipinto ed una statua della Vergine Martire siracusana, come è d'uso in tutte le antiche chiese di Scicli.







 


 
  






 
Chiesa rupestre di Piedigrotta
Chiesa rupestre di Piedigrotta

Chiesa rupestre di Piedigrotta

           La chiesa, scavata ai piedi del Colle della Croce, in fondo alla cava di S. Bartolomeo, fu fondata nel 1630, grazie ad un Beneficio, mediante donazioni di terre di don Giuseppe Miccichè, fondatore del Collegio dei Gesuiti di Scicli e di altri Benefici nella Basilica Collegiata di S. Bartolomeo. Al suo interno, nell'abside della chiesa, si può ammirare l'incantevole opera in pietra marmorea locale di S. M. della Pietà, menzionata in antichi libri e manoscritti che descrivono le "Madonne sciclitane" , opera Cinquecentesca.








 


 
  






 
Chiesa di San Giuseppe
Chiesa di San Giuseppe

Chiesa di San Giuseppe

            Fondata verso il 1500 da Giannantonio Miccichè, nel quartiere Pendino o Casale, che poi da essa prese il nome di S. Giuseppe, fu elevata, nel 1598, a Grangia della chiesa Madre dal Vescovo di Siracusa D. Giovanni Orosco.
Già precedentemente un gruppo di Francescani Cordiglieri si era insediato sulla collina della Croce costruendo un Convento e l'attuale Chiesa, con l'ampliamento di un antico oratorio; successivamente, altri Frati Cappuccini, anch'essi Francescani, avevano costruito un convento e una chiesa, sulla fiancata del Colle di S. Marco, su un terreno già appartenuto ai Confrati della Chiesa di Santa Agrippina, che spiega la presenza della statua quattrocentesca della Santa insieme a quella di Sant'Onofrio, di cui, invece non esiste traccia. Se in tale contesto topografico si inserisce la Chiesa rupestre del Calvario, risulta evidente il desiderio di un'ideale ricostruzione, sulla stessa collina, di un percorso di luoghi santi .
Il terremoto del 1693 distrusse in buona parte la Chiesa che però, nel periodo immediatamente successivo, venne ricostruita nelle odierne linee sobrie ed essenziali che le conferiscono quella contenuta maestosità; unici ornamenti alla lieve concavità della facciata, racchiusa nei suoi contrafforti laterali, sono la vetrata e un cartiglio con incise le lettere:
D (eo), O (ptimo), M (aximo)
et
S (anctae), M (ariae)
ed un concio rettangolare con la data della ricostruzione della Chiesa, 1772.
L'interno, ad una sola navata presenta, all'entrata, sul lato sinistro, la nicchia con il fonte battesimale e, addossata alla parete, un'acquasantiera sostenuta da un puttino alato, avvolto in un lungo panneggio antecedente, forse, alla ricostruzione del XVIII secolo. Subito dopo troviamo l'altare dedicato alla Crocefissione : il corpo di Cristo, raffigurato con le caratteristiche dei Crocefissi anteriori al '600, (stillante sangue dalle ferite delle mani e dei piedi, dalla fronte, dal costato e dalle ginocchia), è fiancheggiato da due statuette raffiguranti Maria e San Giovanni. Una nicchia separa questo altare da quello dedicato a Santa Agrippina, la statua, in marmo, poggia su una base ottagonale nella quale è incisa la data del 1497 e sui lati sono raffigurati gli episodi riguardanti il martirio e i miracoli operati dalla Santa che tiene in mano il Vangelo, simbolo della fede in nome della quale subì il martirio e sconfisse il male, simboleggiato dal mostro mezzo animale e mezzo uomo, tenuto in catene sotto i piedi della Santa; nell'altro braccio è adagiata la palma,simbolo del martirio; la nicchia mostra, in alto, la conchiglia, simbolo della preziosità del contenuto, ed è attorniata da stucchi imitanti ricchi panneggi, che richiamano quelli dell'altare dell'oratorio di S. Maria della Croce. Il Presbiterio, di forma rettangolare, con volta a crociera, ospita un grandissimo quadro raffigurante in alto, al centro, il Pantocrate, ai cui lati sono la Madonna e San Giuseppe; al di sotto le figure di numerosi Santi con, al centro, San Corrado. L'altare centrale, di marmo policromo, è sovrastato da una nicchia che ospitava la statua di S. Giuseppe, ora situata su un piedistallo al di sopra dell'altare stesso.
La statua, iniziata nel 1773 dal Padula, (lo stesso che realizzò il presepe di S. Bartolomeo), rimase incompleta per la morte dell'artista; un artigiano locale, il Cultraro (o Cultrera) intervenne per realizzare il braccio destro e il Bambino Gesù seduto su di esso, mentre il braccio sinistro sorregge il bastone fiorito, simbolo della speranza; ai piedi, il giglio (simbolo della purezza della fede) presenta sei punte che richiamano la stella di Davide, alla cui stirpe appartiene S. Giuseppe. A sinistra, sotto il coro, una preziosa cornice di stile barocco racchiude una tela raffigurante la cacciata dei mercanti dal tempio. Sulla volta dell'abside un affresco raffigura la morte di S. Giuseppe, protettore dei morenti, al suo capezzale, su una seggiola con braccioli, Gesù , suo figlio putativo; ai piedi del letto, su un panchetto, coperta con un lungo mantello, la Madonna, sua sposa, a lato del letto un angelo, mentre in alto teste di putti si affacciano tra nuvole. Sulla parete di destra, dalla balaustra del presbiterio, una nicchia contiene la statua del Sacro Cuore; un'altra, un quadro raffigurante la Madonna della Grazia, attorniata da putti alati e da angeli e fiancheggiata, in basso dalle figure delle due martiri siciliane: S. Agata e S. Lucia, mentre in basso, sovrapposte in parte sul nome del committente, sono inserite figure di anime del Purgatorio che richiamano, per le caratteristiche iconografiche, le anime purganti raffigurate nel quadro della Mater Gratiarum posto nella nicchia di sinistra della chiesa di S. Maria del Gesù dei Minori Osservanti. Lesene con capitelli ionici sostengono la trabeazione di questa nicchia, mentre gli altri altari sono fiancheggiati da lesene con capitelli corinzi. Al di sopra della trabeazione, su ogni lato, tra le finestre vetrate, spicca la croce di Malta. Il tetto, a botte, è scandito da vele a crociera che si dipartono dalle finestre; l'arco trionfale che insiste sulla balaustra e che divide la navata dal presbiterio, è scandito da corpi ovali dorati. 







 


 
  






 
Chiesa di San Pietro
Chiesa di San Pietro

Chiesa di San Pietro

              La chiesa di San Pietro, ubicata sulle basse pendici occidentali del colle di San Matteo, al N. civico della via omonima, è una delle prime chiese cristiane scavate nella dura roccia di calcare ed ampliata, fuori della grotta scavata nel XVII sec. L'edificio, attualmente in uno stato di conservazione assai precario, è ad unica navata e a tre campate; della preesistente chiesa rupestre restano due ambienti poi inglobati all'interno dell'edificio successivo: uno, il più importante, mantiene lo stesso orientamento (verso Ovest) della chiesa. Dall'opera del Carioti, (Notizie storiche della città di Scicli, pagg. 427-428), che costituisce la principale fonte documentaria, si apprende che " ... è antichissima prima assai da che scese su'l piano la città. Era sino al secolo 600 in quella grotta che restò dietro l'altare maggiore, da che si ampliò. Ivi vi furono altri due altari, de' quali ancora ne appariscono le vetuste sacre immagini colorite su le pareti della rocca, una de' quali rappresenta Gesù Cristo alla colonna..." . In effetti, dietro l'altare maggiore è presente un ambiente ipogeico, unica persistenza del corpo centrale della originaria chiesa rupestre, purtroppo anch'esso in stato di abbandono, dopo essere stato utilizzato come rifugio antiaereo durante l'ultimo conflitto mondiale. All'unico ambiente ricavato nella roccia, si accede attraverso due strette aperture disposte simmetricamente ai lati dell'altare maggiore, nella parete di fondo della navata; l'ingresso a sinistra dell'altare ha un piedritto che si appoggia direttamente alla parete rocciosa. Questo vano, a pianta tendenzialmente rettangolare,che raggiunge l'altezza massima di m.2,57 in corrispondenza della parete in muratura retrostante l'altare, mostra un tratto del pavimento originario mentre il soffitto, piatto, presenta un anello reggilampade.Presso l'angolo sudorientale dell'ambiente, un accumulo di pietrame di grossa pezzatura ostruisce un'ampia cavità irregolare, forse il tentativo di ricavare un'alta nicchia o un altro vano; l'apertura di una profonda faglia nella parete di fondo potrebbe spiegare l'improvvisa interruzione dell'operazione di scavo. Ancora leggibili appaiono le due nicchie in corrispondenza dei due altari, esse hanno sagoma rettangolare e pianta trapezoidale, sono poco profonde ed entrambe recano tracce di affreschi attualmente ricoperti da incrostazioni calcaree. La nicchia settentrionale,che ha una luce di m. 1,59, appare devastata ai margini destro e sinistro, laddove la presenza di due brevi riseghe sul piano di imposta indicherebbe una manipolazione successiva della nicchia volta ad un suo ampliamento. Nel pannello di fondo, nonostante le incrostazioni calcaree è possibile scorgere una mensa imbandita che presenta da destra una pisside cilindrica dalla superficie rosata, un calice color avorio con l'orlo estroflesso e, poco più in alto, un pane di color giallo scuro con partizioni brune; contigua a questo è visibile una mano sinistra con l'indice e l'anulare dalla forma insolitamente allungata e decisamente sovradimensionata rispetto agli oggetti vicini posti sulla tavola.; il lembo della tovaglia che scende da questa appare decorato con una sequenza di partizioni rettangolari, immediatamente al di sotto si scorgono, forse , le gambe del personaggio e, poco più in basso, una fascia dipinta recante una iscrizione di cui restano leggibili solo poche lettere. In alto, invece si intravedono le tracce di un panneggio rosso senza ulteriori particolari leggibili. Appare davvero inusuale, date le notevoli dimensioni, la pochezza del numero degli elementi figurati riconoscibili e la presenza di pochi personaggi , vi si potrebbe riconoscere una versione "abbreviata" dell' Istituzione dell'Eucarestia. 

 


 
  






 
Chiesa di Santa Maria della Catena
Chiesa di Santa Maria della Catena

Chiesa di Santa Maria della Catena

              La chiesa, risalente agli anni prima del Mille, è scavata nella dura roccia di calcare, alle falde del Colle di S. Matteo, in luogo dove i primi Cristiani fecero dei Santuari per venerare la Madonna Vergine Madre di Dio dentro spelonche attorno a tutto il Colle e le vallate di Santa Lucia e di San Bartolomeo, contrade, queste dove esistono tuttora centinaia di vetusti sepolcreti, all'epoca perimetro urbano dell'antica Scicli.
In un Atto del 3 settembre 1667, del Notaro Antonio Infilio, si legge che nella Chiesa fu istituito un Beneficio appartenente a Don Francesco Sicoli mediante privilegio della Cancelleria del Vescovo di Siracusa, del 15 maggio 1658. A questa chiesa appartennero terre che furono donate da Don Ignazio Bono con Atto del 18 novembre 1720 in Notaro Mariano Terranova. Ogni anno, in detta Chiesa, si festeggiava in esterno Maria SS. della Catena portante in braccio il Bambino Gesù ed una catena colorata tra le mani, protettrice dei Cristiani Sciclitani rapiti dai Pirati di mare e ridotti schiavi in catene.
La Madonna venerata con questo titolo si può ammirare in una antica statua di squisita fattura ( opera del 1100) che viene portata in processione per le vie della città. Nella chiesetta si può ammirare, inoltre un'artistica "Pila"( acquasantiera) d'epoca bizantina. La facciata, con Portale d'ingresso ad arco, ha colonne cimate da capitelli dalle linee e decorazioni del periodo dell'Arte Tardo- Antica. Nel 1200 la chiesetta fu trasferita in un'altra grotta vicina, dove esiste tutt'ora, e fu abbellita con stucchi dorati e pitture. 
 

 


 
  






 
Chiesa del Calvario
Chiesa del Calvario

Chiesa del Calvario

               A mezza costa del colle della Croce, per mezzo di scalini scavati nella roccia e inerpicandosi fra la vegetazione che copre il fianco della omonima collina, si arriva alla chiesa rupestre detta del "Calvario" al cui sito ben si accompagna il nome. L' immagine che qui si adora è Gesù Cristo morto con accanto la Vergine Addolorata e le Marie. Di tale chiesa il notaro Antonino Militello ne fa memoria negli atti del 1521 e nel 1574 viene chiamata basilica da due atti del notaro Guglielmo Marsala, come si legge in "Notizie Storiche della Città di Scicli " di Antonino Carioti.
Sui battenti del portone d'ingresso, attraverso cui si accede all'ampio locale scavato nella roccia, si trovano i simboli della passione di Cristo (chiodi, martello, tenaglia da una parte e scala e lancia dall'altra). Al di sopra s'innalza l'alto campanile, mentre all'interno, il pavimento, ancora allo stato originario, è suddiviso in grandi rettangoli da lastre lisce che si susseguono e si intersecano vicino alle pareti e al centro. In fondo uno scalino divide la navata dal presbiterio; tre scalini (numero che simboleggia la Trinità) portano all'altare di pietra. Il paliotto riproduca in altorilievo "La Pietà". Il corpo di Cristo, coperto dal perizoma, è tenuto sulle ginocchia della Madonna Velata; Maria di Magdala, inginocchiata e a capo scoperto, bacia le mani di Cristo. Ai lati, in alto, gruppi di angeli piangenti; a sinistra sono scolpiti il sole e un angelo che tiene in mano la scala, il martello e la tenaglia; in basso la croce con la corona di spine e i tre chiodi. A destra, un altro angelo tiene in mano altri simboli della Passione: la colonna, a cui Cristo fu legato per essere fustigato; la canna messa in mano a Cristo al posto dello scettro, la canna con la spugna imbevuta di aceto e la lancia con cui fu ferito al costato. In basso, il simbolo del sepolcro; in corrispondenza del sole, la luna, simbolo della notte e della fine. Sulla cornice del paliotto spicca la conchiglia che simboleggia la sacralità della raffigurazione. Sul piano della mensa si vede ancora la pietra benedetta quadrata, che racchiude a sua volta le reliquie di un Santo o di un Martire. Esse venivano poste nell'altare per rendere sacro il piano su cui veniva celebrata la messa; al centro, sul piano superiore a quello della mensa, c' è un tronetto con baldacchino, sotto il cui panneggio si trova la colomba, simbolo dello Spirito Santo. Dietro il tronetto, un'ampia apertura rettangolare, un tempo chiusa da una vetrata inquadrata da una cornice di legno scandita dai colori rosso, azzurro e giallo, fa vedere il corpo di Cristo con le ferite della Crocifissione adagiato su un piano di pietra, in bassorilievo, l'immagine tattile di una coperta impreziosita da una frangia dorata su cui il corpo di Cristo sembra dormire. Egli è raffigurato con il capo reclinato dalla parte di chi guarda; il braccio destro disteso lungo i fianchi, il sinistro rilassato, poggia con la mano sullo stomaco; i piedi, divaricati, hanno le dita lunghe e affusolate. Sul torace, in un gioco plastico, si rilevano le clavicole e le costole.
L'altare, fiancheggiato da due bellissime volute di foglie di acanto, secondo l'uso bizantino, è orientato ad est, perchè da lì sorge il sole, a simboleggiare la figura di Cristo che con la sua venuta caccerà il male e farà trionfare il bene. Ai lati del presbiterio, scavate nelle pareti, due grandi nicchie, contengono rispettivamente, quella di sinistra, un busto raffigurante la Madonna e quella di destra, il busto raffigurante San Giovanni. La figura della Madonna, avvolta dal mantello blu e dal capo velato, fa intravedere, come quella del paliotto, l'ampio collare bianco a pieghe, di foggia cinquecentesca. Sull'altro lato il busto di San Giovanni ricalca l'iconografia del più giovane degli apostoli: guance imberbi di adolescente, capigliatura lunga, veste verde, simbolo della giovinezza e della speranza e mantello rosso, simbolo del martirio. In entrambe le nicchie le tracce di rosso e di altri colori lasciano chiaramente intravedere le pieghe delle valve della conchiglia, simbolo del prezioso contenuto. Sulle pareti laterali, scavate nella roccia, si trovano diverse incavature che servivano per riporre i lumini; due incavature, l'una sull'altra, simmetriche sulle due pareti e allineate al ripiano dello scalino del presbiterio, fanno pensare ad un'altra cancellata che lo divideva dalla navata a botte. In alto a sinistra, scavata nella roccia, una grande lettera riproduce la "tau", lettera greca presente nelle chiese francescane, testimonianza che prova la veridicità di quanto si legge nel Carioti, che cioè la chiesa era di proprietà degli osservanti minori del Convento della Croce che si trova più in alto nella stessa collina. Dalle tracce di colore che ancora si vedono, si può dedurre che tutte le pareti erano sicuramente affrescate, soprattutto quella di destra, e quella dell'altare, qui sono ancora visibili gli affreschi raffiguranti le tre croci sul Golgota e sulla croce centrale si vedono, appoggiate, le scale che richiamano il momento della deposizione. Nella chiesa rupestre sono presenti: il colore rosso, simbolo dell'umanità e del martirio; il colore giallo, simbolo della santità di Dio, luce ed eternità, identificato con il sole e il blu, colore quest'ultimo che richiama il cielo e scandisce anche l'alzata dei tre scalini che portano all'altare. Dietro l'altare un piccolo locale, dentro il quale è stato costruito, sopra un alto basamento, il sepolcro su cui è adagiata la statua del Cristo Deposto, presenta un pavimento coperto di piccoli mattoni rossi e custodisce, murata nella parete di fondo, una tomba. Infine, da segnalare, la presenza nel locale della sacrestia, a cui si accede da un'apertura nella parete di destra e vicino al portone d'ingresso, un originale lavamani . Esso consiste in una grande ciotola tenuta da una grande mano, su cui è incisa, in bassorilievo sulla roccia, una croce.
Si sa che, dopo il terremoto in Scicli, del 1693 in Essa furono trasferiti gli Oli Sacri della Cattedrale di San Matteo perchè fossero protetti da eventuali altri terremoti.
Dal Carioti si hanno testimonianze che " La notte del Giovedì Santo si faceva a questa grotta, un pellegrinaggio di penitenza; i devoti traevano fin lassù, per la ripida erta, recando sulle spalle, per penitenza, una pietra più o meno pesante, che poi gettavano a far mucchio, davanti alla grotta".
Per una conoscenza approfondita del sito sono fondamentali le opere :


Giovanni Pacetto, "Memorie Storiche" - Manoscritto
Antonino Carioti "Notizie Storiche della Città di Scicli" - ed. Comune di Scicli
Bartolo Cataudella, "SCICLI Storia e Tradizioni" Ed. Il Comune di Scicli




 
  






 

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